I link della settimana (#33)
(i) Internet usage and the prospective risk of dementia: A population-based cohort study (Cho G. et al, Journal of the American Geriatrics Society, 3 Maggio 2023). I ricercatori hanno seguito un gruppo di circa 18000 adulti tra i 50 e i 65 anni e hanno trovato che un utilizzo regolare di internet è associato ad una riduzione della metà del rischio di demenza. Lo studio ha alcuni ovvie limitazioni quali, per esempio, la difficoltà di stimare un utilizzo “regolare” e, naturalmente, la causalità: è l’utilizzo di internet che riduce il rischio di demenza, oppure chi utilizza di più internet è anche, per esempio, più attivo cognitivamente, così che sia il minore rischio di demenza che l’utilizzo di internet sono dovuti a qualcos’altro? E possiamo fidarci di questa idea intuitiva - che utilizzare internet “tenga allenato il cervello” - oppure, come molte idee intuitive, potrebbe essere sviante? Se siete lettori di “Cinque link a settimana” potete immaginare quale sia il mio punto: questi problemi sono gli stessi di molte delle ricerche che riguardano gli effetti negativi dell’utilizzo di internet e social media, ma tutta l’attenzione è concentrata su questi ultimi (nessun giornale ha riportato i risultati di questo studio…). Questo, sì, potrebbe essere un problema.
(ii) Users choose to engage with more partisan news than they are exposed to on Google Search (Robertson R. E. et al., Nature Human Behaviour, 24 Maggio 2023). L’idea che gli algoritmi favoriscano radicalizzazione ed estremismo è molto di moda, intuitiva e, diciamocelo, ci fa stare bene, permettendoci di scaricare la colpa su qualcosa d’altro. Tuttavia, come molte delle teorie che si focalizzano più sui (supposti) effetti negativi delle tecnologie che sul nostro comportamento, non ha molto successo quando viene testata in modo rigoroso. Questa ricerca mostra che i partecipanti tendono a visitare siti di parte, o inattendibili, più di quanto gli venga suggerito da Google.
(iii) For One Group of Teenagers, Social Media Seems a Clear Net Benefit (Claire Cain Miller, New York Times, 24 Maggio 2023). Sempre piú politici e commentatori vari stanno sostenendo che l’accesso ai social media per gli adolescenti vada vietato o controllato rigidamente. Dovreste ormai sapere che le possibili conseguenze negative dell’uso dei social media sono (sarò gentile…) tutt’altro che stabilite dalla ricerca. Un argomento piú ragionevole è di tipo precauzionale: siccome non abbiamo la certezza che non faccia male, proibiamo/limitiamo nel frattempo, e quando raggiungeremo delle certezze vedremo il da farsi. Ammetto di non essere molto convinto neanche di questo argomento, per varie ragioni. Una è che (cosa incredibile a dirsi!1) per alcuni adolescenti l’utilizzo dei social media potrebbe avere effetti positivi, come pare sia stato nel caso dei vari lockdown, ma anche, come racconta questo articolo, per individui che potrebbero sentirsi emarginati (nel caso specifico, adolescenti LGBTQ) nelle loro comunità “fisiche”, come famiglie tradizionaliste, gruppi di amici, magari in ambienti rurali, eccetera.
(iv) Public Sector Corruption is Fertile Ground for Conspiracy Beliefs: A Comparison Between 26 Western and Non-Western Countries (Cordonier L & Cafiero F, OSF Preprints, 16 Maggio 2023). Questa ricerca mostra diverse correlazioni, a livello nazionale, con le credenze in teorie del complotto.
They are positively correlated with corruption, homicides, and economic inequalities (Gini index), and negatively correlated with the levels of freedom of the press, democracy, and human development (HDI).
La più robusta è con il livello di corruzione, il che sembrerebbe ricollegarsi ad una (giustificata?) sfiducia nelle istituzioni. Tutto ció sembra molto ragionevole, al contrario di alcune altre spiegazioni sulla diffusione delle teorie del complotto.
(v) Gender bias in video game dialogue (Rennick S. et al, Royal Society Open Science, 24 Maggio 2023). Per i film, c’è il test di Bechdel, ma anche nei videogiochi la situazione è simile. Nel 94% dei giochi ci sono più caratteri parlanti maschili che femminili. I personaggi maschili parlano più del doppio di quelli femminili. La - relativamente - buona notizia è che la percentuale è salita dal 18% negli anni ‘80 al 40% nel 2020. Per voi geeks gli autori hanno anche realizzato un videogioco per presentare i risultati, e hanno reso pubblico il dataset, con più di 6 milioni di parole, e di 13 mila personaggi.
sono sarcastico.