I link della settimana #25
Come I fiori che sbocciano a primavera, anche “5 link a settimana” ritorna dopo la pausa invernale. Insomma, ci ritento. Se state leggendo, sapete di cosa si tratta: fate grande pubblicità e vediamo se riusciamo a portare avanti il progetto. Chi stesse leggendo per la prima volta, può partire da qui.
In pochi mesi sono successe molte cose rilevanti, che mostra come in effetti aggiornamenti settimanali possano avere abbastanza senso, ma mi limiterò alle ultime cose per coerenza (magari una settimana farò uno special sui tre mesi trascorsi). Ma ripartiamo.
(i) Understanding the Behaviors of Toxic Accounts on Reddit (Deepak Kumar et al., ACM Web Conference (WebConf), Maggio 2023). Un tema ricorrente nelle ricerche sui social media è che comportamenti nocivi, benché molto visibili e molto discussi, siano generalmente il frutto dell’attività di pochi, ma molto attivi, utenti. Potrebbe essere questo, per esempio, il caso nel consumo e soprattutto la condivisione di disinformazione o, come nell’articolo linkato qui, di commenti “tossici” su Reddit, che sarebbero il prodotto del 3% di utenti (che producono il 33% di tutti i commenti!). Questo potrebbe avere delle interessanti conseguenze, per iniziare il fatto che, contrariamente ad un’idea diffusa, la stragrande maggioranza di chi usa social media non sia coinvolto direttamente in comportamenti nocivi.
(ii) Social Media is a Major Cause of the Mental Illness Epidemic in Teen Girls. Here’s the Evidence (Jonathan Haidt, After Babel, 22 Febbraio 2023). Da qualche anno a questa parte, Jonathan Haidt è uno dei sostenitori più vocali dell’idea che ci sia un legame causale negativo tra uso dei social media e salute mentale. Questo è il suo ultimo contribuito. Come da puntate precedenti, io rimango per ora scettico. Ma, certo, ci sarebbero molte cose da dire, che per ora accenno velocemente. Per esempio, nel dibattito internazionale sembra ci sia stato recentemente uno spostamento degli orientamenti politici: mentre fino a pochi mesi fa l'idea che i social media fossero un pericolo per la salute mentale era spinta soprattutto da media “di sinistra” come il New York Times o il Guardian, oggi, grazie probabilmente ad Haidt, sembra avere più presa altrove. Oppure, sembra esserci più variabilità tra nazioni nel peggioramento della salute mentale dei giovani che nella penetrazione dei social media: detto in altri termini, i problemi degli USA potrebbero essere altri.
(iii) The Amplification Paradox in Recommender Systems (Manoel Horta Ribeiro et al., arXiv, 22 Febbraio 2023). Gli algoritmi che creano le nostre timelines nei social media, o ci suggeriscono video su YouTube o TikTok, tendono a favorire contenuti che suscitano più reazioni, di conseguenza spesso più estremisti se non addirittura falsi o complottisti. Questa osservazione ha generato la fortuna di idee come quella di “radicalizzazione algoritmica”, per cui questo processo porterebbe gli utenti (noi) ad avere idee più estremiste. In realtà, vari studi hanno mostrato che questo non è ciò che accade. Questo articolo mostra come sia importante tenere conto sia del ruolo degli algoritmi che di quello delle preferenze degli utenti, che non sono solo passivi consumatori e non seguono necessariamente i suggerimenti algoritmici. Anche se può sembrare ovvio, non sembra sia il caso in molti articoli allarmistici sul ruolo degli algoritmi dei social media “che ci controllano”. O, per dirla in un altro modo: the internet is a rabbit hole only if you are a rabbit.
(iv) The Wandering Mind: What Medieval Monks Tell Us About Distraction (Jamie Krainer, W. W. Norton & Co.). Se avete un po’ più di tempo, ecco un consiglio di lettura (potete anche trovare qui una recensione dal New York Times). Questo libro racconta di come i monaci della tarda antichità discutessero del problema della distrazione, della mancanza di concentrazione, che sembrava spesso assillarli, e di quali rimedi suggerissero. In un’epoca - la nostra - in cui il refrain è che l’attenzione ci sia stata rubata da social media e “capitalismo di sorveglianza”, è una lettura rinfrancante e molto informativa. Certo, le cose cambiano ed è una domanda più che legittima capire se i nuovi media abbiano modificato le dinamiche della nostra attenzione, ma questo libro è un ottimo esempio della “lunga prospettiva” che ho cercato di difendere in Cultural Evolution in the Digital Age":
(v) Digital Culture (Alberto Acerbi, The Oxford Handbook of Cultural Evolution, 23 Febbraio 2023). La solita autopromozione. Un breve capitolo che ho scritto per il primo Oxford Handbook of Cultural Evolution che uscirà tra non molto. Una versione condensata di alcune idee tra evoluzione culturale e diffusione dei media digitali - e soprattutto suggerimenti per lavori futuri. Potete trovare qui il preprint gratuito.