I link della settimana (#41)
(i) Your NFTs Are Actually — Finally — Totally Worthless (Miles Klee, Rolling Stones, 20 Settembre 2023). Forse vi ricorderete di come recentemente si sia fatto molto parlare degli NFT, o Non-Fungible Tokens, soprattutto come prodotti artistici (ma avevamo anche visto proprio qui che Giallozafferano aveva addirittura lanciato delle ricette - non so che fine abbiano fatto…). Da come lo capisco, un NFT è un certificato digitale, basato sulla tecnologia blokchain, che non può essere riprodotto: per esempio, io vi vendo l’NFT dell’immagine qui sopra e voi siete gli unici a possederla (anche se potrebbero circolarne ad libitum). Ora, sebbene potessero suscitare anche delle domande interessanti (cos’è l’unicità di un’opera d’arte? Che cosa vuole dire possedere un’opera d’arte? E via dicendo), un certo scetticismo aveva accompagnato da subito gli NFT. Questo articolo riporta come lo scetticismo fosse probabilmente giustificato: il 95% degli NFT oggi non valgono nulla, zero, niente. Una bolla involontaria, dovuta a genuino entusiasmo? Uno schema Ponzi? Un misto delle due?(Io ho la stessa sensazione per tutto il mondo blockchain-bitcoin, ma forse sto solo invecchiando.)
(ii) WhatsApp Is Preventing Child Marriage in Rural India (Parth MN, Reasons to be cheerful, 21 Settembre 2023). Anche se, come sappiamo, la maggior parte delle notizie si concentra sugli aspetti negativi, è importante non scordarsi come social media e servizi di messaggeria istantanea possano essere utilizzati per rendere la vita migliore. Questo articolo racconta di come alcuni attivisti per i diritti dei bambini, in India, utilizzino con successo WhatsApp per coordinare un network di informazioni sui matrimoni combinati di minorenni.
(iii) The efficacy of Facebook’s vaccine misinformation policies and architecture during the COVID-19 pandemic (Daria Broniatowski et al., Science Advances, 15 Settembre 2023). Come nella ricerca che abbiamo visto la scorsa settimana, quando durante un’interruzione di Facebook gli utenti (noi) sono andati a cercare disinformazione sul COVID da altre parti, anche questo articolo mostra come la domanda di disinformazione sia il fattore chiave. Il punto centrale è che gli sforzi del social media di rimovere i post contenenti disinformazione hanno in pratica generato sforzi uguali e contrari di produrre post che non venivano rilevati come disinformazione ma che avevano (più o meno) gli stessi contenuti. Per ripeterci: sostituiamo all’idea comune in cui le forze maligne (algoritmi, social media, ecc.) portano i poveri utenti a consumare disinformazione quella in cui gli utenti, agenti attivi, cercano nei social media quello che vogliono e la domanda viene soddisfatta. La diffusione della disinformazione non è causa dei problemi, semmai sintomo. Le conseguenze riguardo alla policy sono abbondanti.
(iv) The Rise of and Demand for Identity-Oriented Media Coverage (Daniel J. Hopkins et al., SSRN, 20 Settembre 2023). Una percezione diffusa è che, almeno negli Stati Uniti, ci sia stata nelle news degli ultimi anni una grande crescita di riferimenti a “identità sociali” (genere, provenienza etnica, appartenenza politica, religione e via dicendo). Questa ricerca mostra come questa percezione sia genuina: i riferimenti sono cresciuti. Un aspetto interessante è che i ricercatori sono riusciti anche ad evidenziare un legame causale tra la presenza di questi riferimenti e il successo delle news. Per fare questo hanno utilizzato un dataset che contiene i risultati di migliaia di A/B test dal sito Upworthy (in questo caso, un A/B test si riferisce al fatto che Upworthy presentava la stessa notizia con due titoli diversi a persone diverse, scelte a caso, potendo così vedere quali fossero più di successo a parità di altre condizioni). In questo modo hanno potuto constatare che articoli con titoli con riferimenti alle identità sociali avevano più successo degli stessi articoli, ma con titoli senza questa riferimenti. E in Italia?
(v) Visto che questa settimana i link sono solo quattro, questo è il nostro gatto.