I link della settimana (#37)
(i) Quantifying the potential persuasive returns to political microtargeting (Ben M Tappin et al., Proceedings of the National Academy of Sciences USA, 12 giugno 2023). Dalle elezioni di Obama allo scandalo di Cambridge Analytica, un’idea molto diffusa è che sia possibile utilizzare i dati che - spesso inconsapevolmente - condividiamo sui social media per realizzare campagne “su misura”, che avrebbero un potere persuasivo mai visto prima. In realtà, non ci sono dati certi che questo funzioni, e ci sono ottime ragioni teoriche per pensare che non sia il caso. Questo studio tenta di fare chiarezza, mostrando con vari esperimenti che, in effetti, il microtargeting politico funziona meglio di annunci generalizzati, ma tenere in conto una sola caratteristica del target (ossia noi) è meglio di tenere in conto molte caratteristiche. Cosa vuole dire? Un microtargeting basato semplicemente sull’orientamento politico funziona meglio di un targeting generalizzato, ma anche meglio di microtargeting più raffinati, che tengono in conto altre caratteristiche, per esempio età, guadagni, altri interessi, e simili. Insomma, niente di nuovo sotto il sole: tutto ciò si fa da anni e senza bisogno dei dati dei social media.
(ii) AI and the transformation of social science research (Igor Grossman et al., Science, 15 giugno 2023). Un buon articolo che riflette sull’utilizzo dei nuovi sviluppi dell’intelligenza artificiale, in particolare i large language models come ChatGPT, come strumenti per studiare la società. Ci sono molte opportunità (non avevo mai sentito dell’utilizzo combinato di LLMs e modelli ad agenti) e ovvie preoccupazioni - gestione dei dati, privacy, possibilità di bias. Non per tutti, ma se siete interessati, è una lettura breve e bilanciata.
(iii) Massimo Recalcati: "L’uso dei social genera una dipendenza tossica: si confonde il reale con il virtuale" (Huffington Post, 17 giugno 2023). Mi mancava il contributo della psicanalisi. L’articolo originale del Corriere della Sera, a cui (fortunatamente?) non posso accedere è un intervista di Walter Veltroni allo psicanalista Massimo Recalcati:
“Questa connessione non è reale ma virtuale, e uno dei grandi rischi oggi è proprio confondere il reale col virtuale. In psicanalisi si chiama allucinazione. L’uso dei social genera una dipendenza tossica: l’assenza di pausa, l’assenza di intervallo”
Abbiamo già discusso di come l’idea di “dipendenza” sia considerata fuorviante da molti ricercatori quando si tratta di social media. E per non farci mancare nulla:
“In generale, la dipendenza dall’oggetto è una forma di autismo, quindi il contrario della socialità. Soprattutto l’iPhone è diventato un oggetto primario. Il simbolo dell’oggetto primario in psicoanalisi è il seno e l’attaccamento all’iPhone è un attaccamento regressivo primario. Se tu stacchi un ragazzo dal cellulare provochi una crisi di angoscia che può davvero evocare l’angoscia primaria, regressiva, del bambino svezzato dal seno”
(iv) The debunker’s delusion (Sebastian Milbank, The Critical, 19 giugno 2023). Come visto settimana scorsa, si è fatto un gran parlare di teorie della cospirazione. Questo articolo, in linea con molte delle cose dette qui, mostra come i “debunker” siano spesso particolarmente proni ad esagerare gli effetti e la portata delle teorie della cospirazione e, insomma, ad essere molto più simili di quanto vorrebbero ai sostenitori delle teorie del complotto.
(v) “Get phones out of schools now.” (tweet from Jonathan Haidt, 21 giugno 2023). Lo psicologo statunitense Jonathan Haidt, di cui abbiamo parlato varie volte, è uno dei più vocali sostenitori dell’idea che la diffusione di social media e smartphones sia causa del peggioramento della salute mentale nei giovani, della crisi della democrazia (e di un po’ di tutti i problemi - veri o presunti - del mondo o, meglio, come vedremo, degli USA…). Haidt ha recentemente twittato i trend dei risultati delle abilità matematiche degli studenti statunitensi che mostrano un’inversione di tendenza, cominciando a peggiorare dal 2012. La conclusione, non sorprendentemente, è: Get phones out of schools now. Ora, ci sarebbero varie cose da dire, ma una, immediata, è che se esiste un effetto degli smartphones, questo si dovrebbe vedere in tutte le nazioni dove si sono diffusi, come in Europa. È quello che succede? La risposta è un chiaro no. Ho scaricato i dati dei test PISA (che misurano le abilità matematiche degli studenti a quindici anni) per le nazioni della comunità europea e misurato i trend tra il 2012 (lo stesso anno scelto da Haidt) e il 2018 (l’ultimo anno disponibile dove ho scaricato i dati, ma sembra ragionevole che ciò che accade dopo il 2020 sia dovuto agli effetti delle misure relative alla pandemia). I cambiamenti si possono vedere qui sotto. Se ci fosse un effetto robusto degli smartphones dovremmo vedere un peggioramento generalizzato, visto che più o meno si sono diffusi in tutte le nazioni EU.
Lo stesso si può vedere separando i dati per i ragazzi…
…e le ragazze, che mostrano un miglioramento più generale (che, incidentalmente, va contro l’idea, sempre di Haidt, che social media e smartphones abbiano avuto effetti negativi soprattutto su queste ultime).
Volendo si potrebbe obiettare che differenze nella penetrazione di smartphones e social media nelle varie nazioni europee possano avere un ruolo, ma, ancora una volta, non sembra essere il caso. Non esiste correlazione tra i cambiamenti nei risultati PISA e l’utilizzo dei social media (misurato con dati dal 2021 della Comunità Europea, “People 16-19 participating in a social network site”)…
…o tra i valori assoluti PISA del 2018 e la penetrazione dei social media.
Ovviamente questa è un analisi molto cruda, ma almeno meno cruda di quella presentata nel tweet e in molte conversazioni pubbliche sui danni di smartphone e social media, quindi spero serva a qualcosa!