I link della settimana (#6)
(i) In the dark (Peter Guest in Rest of the World, 26 Aprile 2022): Ricercatori e giornalisti tendono a concentrarsi sugli effetti dei social media nelle nazioni occidentali (l’acronimo usato in psicologia e’ WEIRD: società che sono Western, Educated, Industrialised, Rich, and Democratic), ma quando guardiamo al di fuori, 935 casi di spegnimento (shutdowns) di internet negli ultimi sette anni mostrano che non sono solo gattini e tramonti: internet è un potente strumento di protesta. In generale, Rest of the World è un’ottima risorsa per informarsi sulla tecnologia con una prospettiva più ampia.
(ii) What People Misunderstand About Red-Pilling (Alice Marwick in Slate, 19 maggio 2022). Purtroppo le notizie di altre due terribili stragi sono arrivate dagli Stati Uniti. Per la prima (la strage di Buffalo, in cui un suprematista bianco diciottenne ha ucciso 10 persone), si è parlato, come al solito, degli effetti negativi della propaganda online. Le cose sono più complicate (e dare la colpa a YouTube sembra davvero un modo di giustificare i criminali, a mio avviso).
(iii) Elon Musk’s Plan to Open Source the Twitter Algorithm Won’t Solve Anything (Will Knight in Wired, 27 Aprile 2022). Settimana scorsa si era parlato di algoritmi deep learning. Una caratteristica di questi algoritmi è che, in molti casi, il loro funzionamento è opaco per gli stessi programmatori, ossia non si capisce come facciano a fare quello che fanno. In questo articolo ci viene spiegato il perché, in riferimento alla possibilità che Elon Musk renda open l’algoritmo usato da Twitter per creare la nostra timeline (io, comunque, spero lo faccia. Ma poi lo comprerà Twitter o no?).
(iv) Doctors Are Very Worried About Medical AI That Predicts Race (Janus Rose in Vice, 18 maggio 2022). Parlando di opacità degli algoritmi, questo capita - come si dice - a fagiolo.
(v) Misinformation Is a Threat Because (Other) People are Gullible (Altay e Acerbi, PsyArXiv, 20 maggio 2022). Ok, per finire un po’ di self-promotion: Con Sacha Altay abbiamo pubblicato un preprint (un articolo che e’ stato mandato ad un giornale scientifico per essere pubblicato, ma sta ancora passando per il processo di peer-review). L’idea che internet, e specialmente i social media, siano inondati da fake news è un’idea molto popolare, ma non corrisponde molto bene a quello che sappiamo. Come mai, ci siamo chiesti, è cosi popolare? Abbiamo scoperto che le persone che tendono a pensare che le fake news siano un problema molto importante tendono anche a pensare che gli altri (ma non se stessi!) siano molto creduli. Questo atteggiamento e’ molto diffuso (ha anche un nome: third-person effect). Tra i partecipanti al nostro esperimento, 77% credevano che le altre persone fossero più vulnerabili di se stessi alle fake news, e solo il 18% credeva di essere più vulnerabile degli altri.