I link della settimana (#55)
(i) How Meta gave up on politics (Issie Lapowski, Fast Company, 19 Febbraio 2024). Ora, io non ho grande interesse a difendere le multinazionali tecnologiche (loro ne hanno ancora meno nelle mie difese…), ma se i politici continuano ad insistere che devono pagare le conseguenze della disinformazione - soprattutto politica - che circola sui social media, voi che fareste se foste in loro? Una buona soluzione sarebbe quella di evitare il più possible ogni informazione politica - che tra l’altro interessa generalmente poco agli utenti. Questo è ciò che Meta (Facebook, Instagram, ecc.) ha pianificato per l’anno elettorale 2024. Ovviamente non possono impedire che circolino informazioni politiche, ma il loro algoritmo tenderà a sfavorirle. Questo è un ottimo esempio, a mio avviso, di come l’eccessiva preoccupazione per fake news & co. possa avere conseguenze negative tangibili. Sappiamo da vari studi che la maggior parte degli utenti di social media sono più non-informati che disinformati. Questo andrà a peggiorare le cose.
(ii) Modeling the amplification of epidemic spread by misinformed populations (Matthew R DeVerna et al, arXiv preprints, 17 Febbraio 2024). Ecco un esempio della preoccupazione, secondo me, mal posta. Questo modello (in un preprint, quindi un articolo che non ha ancora passato la peer review) stima che “la disinformazione potrebbe avere causato 47 milioni di infezioni di COVID negli USA”! Come funziona il modello? Basta assumere che comportamenti come evitare di portare la mascherina o di vaccinarsi siano causati dall’esposizione alla disinformazione. Il problema è naturalmente che il modello assume che i comportamenti che in effetti causano le infezioni siano a loro volta causati dalla disinformazione, che é esattamente quello che deve essere dimostrato. In questo modo possiamo fare dei modelli per cui la disinformazione causa tutto ciò che vogliamo! Un pericolo addizionale, come mi è stato suggerito da Sacha Altay, è che i policy makers possano venire influenzati ancora di più di quanto già lo sono dalla presenza di “matematica”, “stime quantitative” e via dicendo se questo tipo di modelli si diffondono. E non è la prima volta.
(iii) Something is wrong on the internet (James Bridle, Medium, 6 Novembre 2017). Con la recente diffusione dell’intelligenza artificiale generativa, che produce testi, musiche, immagini e, sempre più spesso, video che potrebbero essere stati creati da esseri umani, si stanno moltiplicando le preoccupazioni su internet inondato da infiniti (e infinitamente generabili) contenuti artificiali, possibilmente ingannevoli, o semplicemente inutili. Per mettere il discorso in prospettiva, qui un pezzo di 7 anni fa (!) che discuteva lo stesso problema, riguardo ai video per bambini su YouTube. Io, al contrario dell’autore dell’articolo linkato, ero già da allora scettico sulla reale influenza di questi video. E ritenetevi fortunati che non linko a nessuno dei video (oh no!).
(iv) A social media ban for children would actually solve nothing. Here’s why (Andrew Przybylski, BBC Science Focus, 27 Febbraio 2024). Da uno dei massimi esperti sul tema, un breve articolo che, ancora una volta, tenta di condividere una visione non allarmistica degli effetti dei social media su bambini e (pre-)adolescenti. Cosa fare allora, soprattutto se (come me) siete genitori? Leggetevi almeno l’ultimo paragrafo, inizia così:
It’s important that, as parents, we scaffold all activities that enter our children’s lives. You wouldn’t buy a child a bicycle and let them learn by themselves in a busy street. Our approach to social media should be exactly the same.
(v) New technologies, new totalitarians (Noah Smith, Noahpinion, 27 Febbraio 2024). L’idea di base di questo pezzo è che internet si sia trasformato in uno strumento utile per i governi repressivi grazie al fatto che gli accessi avvengano sempre più da smartphone (che sono facilmente localizzabili) che da PC, e che le discussioni avvengano sui social media, centralizzati, e anch’essi controllabili. Io credo ci sia qualcosa di vero, ma ho più domande che risposte. Davvero vale per tutto l’internet? Quanto questo è dovuto alla crescita mondiale degli utenti? E l’autore (peraltro attivissimo su X/Twitter) troverebbe lo stesso ampio pubblico senza il suo substack?