I link della settimana (#24)
(i) The Cure Worse Than the Disease? How the Media's Attention to Misinformation Decreases Trust (Emma Hoes et al, PsyArXiv, 12 Novembre 2022). Come ci potrebbe suggerire l’esempio di Trump (che usava gridare ”Fake news!” verso le testate con cui non era d’accordo), la ripetizione di affermazioni allarmistiche sulla disinformazione, che ricercatori e giornalisti continuano a mettere in atto, potrebbe avere di per sé effetti negativi. Questa ricerca mostra esattamente questo. Almeno a breve termine, quando siamo esposti ad affermazioni allarmistiche sulla disinformazione, tendiamo a avere meno fiducia in generale. Il risultato è quindi che tendiamo a credere di meno anche alle news affidabili. Tutto ciò mi sembra molto ragionevole. Il problema è che, essendo le news affidabili molto più diffuse delle fake news, l’effetto finale è negativo, come spieghiamo qui.
(ii) Quantifying the Persuasive Returns to Political Microtargeting (Ben Tappin et al, PsyArXiv, 7 Novembre 2022). Il microtargeting - l’uso di messaggi pubblicitari, spesso politici, mirati a settori molto precisi della popolazione - è considerato, nell’età dei social media, un po’ come i messaggi subliminali qualche decennio fa: una forza misteriosa e pericolosa, con cui i “poteri forti” del momento cercano di controllarci. Lo scandalo di Cambridge Analytica aveva, secondo alcuni, mostrato il successo di questa strategia nell’elezione di Trump e nel referendum che portò alla Brexit. In realtà, i ricercatori sono sempre stati molto scettici: nessuno davvero può dire se la pubblicità mirata ai nostri interessi sui social media funziona oppure no. Questo preprint descrive due esperimenti in cui vengono comparati messaggi mirati e messaggi generali (esperimento 1) e messaggi mirati e messaggi generali, ma precedentemente testati e giudicati come efficaci (esperimento 2). I risultati mostrano qualche effetto positivo del microtargeting, ma non particolarmente forte e in una situazione sperimentale controllata, e i ricercatori che discutono come non sia facile trasferire questi risultati nel “mondo reale”. Insomma, la questione rimane aperta e, come al solito, siate scettici quando vi dicono che vi controllano la mente coi social media!
(iii) Monetization of social media engagements increases the sharing of false (and other) news but penalization moderates it (Meysam Alizadeh et al., OSF Preprints, 10 Novembre 2022). Un altro preprint, forse non troppo sorprendente, ma importante per la crescente “monetizzazione” delle attività sui social media (si pensi ai vari influencers):
We find that a simple nudge about the possibility of earning money for user engagements increases the willingness to share different kinds of news, including misinformation. The presence of penalties for objectionable posts diminishes the positive effect of monetary rewards on misinformation sharing, but it does not eliminate it.
Insomma, tendiamo a fare quello per cui riceviamo feedback positivo - soprattutto economico come in questo caso (ma si veda anche questo articolo).
(iv) Subprime attention crisis (Tim Hwang, 2020). Un libro uscito un paio di anni fa che ho recentemente riletto e che potrebbe, credo, meritare più attenzione. La tesi generale è semplice: (i) l’economia delle grandi aziende tecnologiche (Meta, Google, e via dicendo) è basta sugli introiti pubblicitari, (ii) non sappiamo se la pubblicità su internet funziona davvero ed è molto probabile che gli studi che mostrano che funziona non siano molto affidabili, quindi (iii) potremmo essere sull’orlo di una “bolla” economica pronta a scoppiare? Molti spunti di discussione: Se la pubblicità non funziona, come hanno fatto le news pre-internet? Potrebbero bastare effetti molto limitati? Potrebbe essere sufficiente che qualcuno creda che funzioni? Oppure, che scoppi la bolla!
(v) Twitter alternative: how Mastodon is designed to be “antiviral” (Clive Thompson, UX Design, 9 Novembre 2022). La saga di Twitter continua. Qui un articolo solo tangenzialmente relato, che discute come alcune caratteristiche di Mastodon (uno dei possibili social media alternativi) siano state create appositamente per impedire la diffusione “virale”, come si dice, dei contenuti. L’impossibilità di quote-tweet o il fatto che la timeline sia in ordine puramente cronologico (non ci sono algoritmi che spingono particolari contenuti), insieme ad altre, servirebbero appunto a questo scopo. Può funzionare? Da una parte potrebbe creare un’esperienza di social media più calma e riflessiva. Dall’altra è possibile che le caratteristiche che rendono twitter (e quasi tutti gli altri social media) terribile da questo punto di vista siano anche quelle che lo rendono attrattivo.