I link della settimana (#21)
(i) CLIP interrogator. Se volete provare ancora qualche applicazione di intelligenza artificiale, qui trovate CLIP interrogator, che fa più o meno l’opposto di quello che fanno applicazioni come DALL-E. Qui, invece di generare un’immagine partendo da un breve testo, vengono generate delle brevi descrizioni testuali a partire da un’immagine. Se, come me, non avete tanto da fare, potete provare a mettere una vostra foto e vedere che ne esce.
(ii) The Increasing Negativity and Emotionality of News Media Headlines (David Rozado, Rozado’s Visual Analytics, 19 Ottobre 2022). Usando la sentiment analysis, ossia delle tecniche per estrarre automaticamente il contenuto emozionale del linguaggio, una ricerca mostra che, negli ultimi venti anni, i titoli della stampa statunitense sono diventati più negativi. Ci sono più informazioni al link, come per esempio differenze fra giornali di diversi orientamenti politici, o le tendenze per altre emozioni. La domanda interessante è: come mai? Potrebbe essere che le cose vadano effettivamente peggio e la stampa rifletta adeguatamente la realtà. Oppure è stato suggerito che, data una generale preferenza psicologica per le informazioni negative, la competizione con i social media abbia portato i giornali ad utilizzare strategie più aggressive. D’altra parte, l’aumento della negatività in espressioni culturali e artistiche non sembra essere un fenomeno recente nel mondo occidentale, quindi potrebbe richiedere spiegazioni su una scala temporale più lunga.
(iii) AI-Generated Essays Are Nothing to Worry About (S. Scott Graham, Inside Higher-Ed, 24 Ottobre 2022). Un articolo interessante sull’utilizzo di strumenti di intelligenza artificiale che generano testi (come lex, di cui abbiamo parlato settimana scorsa), che discute un caso pratico: dobbiamo preoccuparci che possano essere usati da studenti per generare scritti per esami universitari? Secondo l’autore: no. Viene raccontato anche come l’autore abbia chiesto ai suoi studenti di generare dei saggi in questo modo e come risultati non siano stati particolarmente brillanti (e i migliori saggi erano quelli di studenti che comunque scrivevano bene) e come gli studenti abbiano trovato il compito decisamente difficile. Ancora una volta, il suggerimento è che questi strumenti non siano sostituti della nostra attività, ma, almeno in potenza, possono essere degli interessanti aiuti che dobbiamo imparare ad utilizzare.
(iv) Exclusive: Twitter is losing its most active users, internal documents show (Sheila Dang, Reuters, 62 Ottobre 2022). A volte conosciuto come principio di Pareto (l’80% delle ricchezze è posseduto dal 20% della popolazione - enfasi sul risultato), altre come effetto San Matteo (“Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha” - enfasi sulla causa), funziona anche nei social media. In Twitter, il 10% di “heavy tweeters” (definiti come utenti che accedono a Twitter sei o sette giorni a settimana e twittano circa tre o quattro volte a settimana) crea il 90% del contenuto. E, a quanto pare, la tendenza è che questi utenti stiano abbandonando il social media.
(v) Sharing content online makes people feel more knowledgeable, even when they did not read it (Vladimir Hedrih, PsyPost, 26 Ottobre 2022). Come abbiamo più volte menzionato, può essere produttivo pensare alla nostra attività sui social media non tanto come mirata a trasmettere informazioni, ma piuttosto a presentare una certa immagine di sé. Condividere fake news, per esempio, non significa per forza essere fuorviati, ma può essere un modo per segnalare l’appartenenza ad un gruppo o il sostegno ad una parte politica. La ricerca descritta in questo articolo suggerisce che l'atto stesso di condividere contenuto sui social media in generale accresca quello che loro chiamano “subjective knowledge”, ossia quanto pensiamo di sapere su un argomento. Un po’ come condividere cinque link a settimana.