I link della settimana (#16)
(i) Una settimana fa, moltissime testate giornalistiche, incluse alcune ben conosciute come Forbes o l’Independent, hanno riportato i risultati di uno studio che mostrerebbe una relazione tra l’esposizione agli schermi degli smartphone e l’accelerazione dell’inizio della pubertà. Peccato che, come prontamente fatto notare da ricercatori su twitter, i risultati non solo fossero basati su di un abstract presentato ad una conferenza (quindi non un articolo vero e proprio, e prima di ogni peer-review) ma, sopratutto, lo studio riguardasse topi da laboratorio, che erano stati esposti a “6 hours or 12 hours of blue light.” Davvero poco a che vedere con adolescenti (umani) e uso delle tecnologie.
(ii) Il tema - “tecnologia rovina i nostri figli”, con pure qualche riferimento alla sessualità - è troppo attraente dal punto di vista cognitivo, quindi, anche se disarmante, non è molto sorprendente che abbia tale successo. Questa è una versione del 2018. Cito:
"Acupuncturists in the UK have reported a rise in referrals of children suffering from mental health issues and early onset puberty and are blaming in part the pressures which come with social media and constant smartphone use."
(iii) The one about a “terrifying” sleep study (Jackson Ryan, No Breakthroughs, 19 Settembre 2022). L’ultimo esempio di come spesso studi sugli effetti negativi di smartphones e social media vengano sovra-interpretati dai media, e spesso dai ricercatori stessi, per ovvi interessi (Panem et Circenses…). Qui si tratta di un altro “studio” secondo cui i bambini delle scuole elementari perdono una notte alla settimana di sonno a causa dell’accesso ai social media! Se fosse vero, sarebbe un grosso problema, ma sarà vero?…
(iv) US politicians tweet far more misinformation than those in the UK and Germany – new research (Stephan Lewandowsky and Jana Lasser, The Conversation, 22 Settembre 2022). Uno studio mostra come tra i politici americani, negli ultimi anni, sia aumentato il numero delle condivisioni su social media di material proveniente da siti di “dubbia reputazione”. Questo non è invece accaduto in Germania o nel Regno Unito. Forse non troppo sorprendente, ma è importante il punto che la disinformazione più pericolosa non è un prodotto dai social media, ma viene spesso direttamente dalle figure politiche (ricordiamocene, specialmente con le elezioni alle porte!).
(v) Social Media Algorithms Are Not Undermining Democracy (Dylan Selterman, Psychology Today, 14 Settembre 2022). Per finire, un punto di vista critico sull’idea comune che gli algoritmi di presentazione delle informazioni dei social media spingano gli utenti (noi) verso contenuti estremisti. Come al solito, le cose sono più complicate.